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Jobs Act e lavoratori fantasma: parola ai freelance

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 di Silvia Pagliuca

Una pubblica amministrazione che “dovrebbe dare l’esempio, riconoscendo e valorizzando l’attività svolta da moltissimi freelance”. Un piano, il Jobs Act, che dimentica circa un milione e mezzo di lavoratori, il cosiddetto “popolo delle partite Iva”. E un’associazione, ACTA, che non ci sta. A dare voce alla delusione dei professionisti della conoscenza, dei servizi e della creatività è Anna Soru, presidente ACTA – Associazione Consulenti Terziario Avanzato.

“Siamo stati esclusi dal provvedimento degli 80 euro e da qualsiasi altra discussione sulla riforma del mercato del lavoro eppure noi, in quanto liberi professionisti, siamo i più suscettibili agli andirivieni di domanda e offerta” – spiega Soru, che sottolinea come, dall’inizio della crisi, sia diventato molto più difficile non solo trovare clienti, ma assicurarsi un pagamento certo e adeguato al lavoro svolto.

“La competizione è altissima e il sistema nel quale ci troviamo a operare non gioca certo a nostro vantaggio, basti vedere cosa accede in caso di maternità, ad esempio”.

Già, la maternità, con l’Istat che ancora una volta fotografa un’Italia in negativo: 515mila le nascite nel 2013, 11mila in meno rispetto al precedente record del 1995. E allora, la domanda sorge spontanea: fare la mamma freelance è possibile?

Spulciando le normative si scopre che sì, è previsto un periodo di cinque mesi retribuiti all’80%, ma ciò impone l’obbligo, per gli stessi mesi, di sospendere completamente il lavoro.

“È ridicolo. Con la concorrenza che dobbiamo affrontare, nessuno di noi si può permettere di rimanere per così tanto tempo fuori dal mercato” – continua Soru.

Tasto dolente anche la legge delega per la revisione fiscale con cui il Governo è chiamato a rendere il sistema “più equo, trasparente e orientato alla crescita”.

Tra i punti di maggior interesse per le partite Iva: l’ampliamento del tutoraggio per la dichiarazione dei redditi (con premialità per chi vi aderisce) e un chiarimento sull’annosa questione dei pagamenti Irap.

“Tutte misure che condividiamo, ma non comprendiamo perché l’onere della prova debba fare capo al freelance quando lo Stato potrebbe utilizzare diversi strumenti per indagare su eventuali evasioni, ricercarle e sanzionarle.”

In riferimento alla decisione dell’Unione Europea di estendere il regime dei minimi fino ai 65mila euro, invece, la posizione di Acta è precisa: lo strumento dovrebbe essere slegato dall’età del freelance e dall’anzianità professionale, perché: “A 40 o 50 anni la posizione sul mercato può essere debole tanto quanto a 20 o 30 anni”.

Il sistema, inoltre, basandosi su un’aliquota proporzionale, assicura a chi ha reddito vicino ai 30mila euro indubbi vantaggi, vantaggi che si riducono enormemente per i redditi molto bassi e si annullano sotto i 10mila euro.

Una situazione che spesso costringe chi ha un imponibile intorno ai 30.000 euro a rifiutare aumenti, (a meno che non siano superiori ai 7.000 euro), perché altrimenti l’uscita dal regime dei minimi comporterebbe una riduzione del reddito netto anche a fronte di un imponibile più elevato. “Una situazione paradossale, un meccanismo davvero dannoso, specie per un Paese che ha gravi problemi di crescita!”

 twitter@silviapagliuca


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